#economia di confine
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pier-carlo-universe · 6 days ago
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Assemblea dei frontalieri a Varese: il PPN chiede equità fiscale e tutela dei lavoratori transfrontalieri
Il Partito dei Frontalieri del Nord (PPN) ha recentemente organizzato un’assemblea a Varese per discutere delle sfide e delle opportunità che i lavoratori frontalieri affrontano quotidianamente. L’incontro ha visto la partecipazione di numerosi lavoratori, rappresentanti sindacali e politici locali, tutti uniti dall’obiettivo comune di migliorare le condizioni di chi lavora oltre confine. Le…
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agrpress-blog · 1 year ago
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Il 2024 è arrivato e con esso nuove opportunità e sfide per il settore tecnologico. Quali saranno le tendenze che domineranno il prossimo anno e che impatteranno la vita delle persone, le dinamiche della società e l'equilibrio del pianeta? Vediamone alcune. •⁠ ⁠Intelligenza artificiale generativa: l'IA che crea e innova. L'intelligenza artificiale generativa è quella che usa algoritmi di apprendimento automatico per produrre contenuti originali, come testi, immagini, musica, video e altro. Questa tecnologia ha già mostrato le sue potenzialità nel 2023, ma nel 2024 si prevede che diventerà ancora più diffusa e sofisticata, offrendo nuove possibilità di espressione e comunicazione. L'IA generativa potrà anche aiutare le imprese a risolvere problemi complessi, a ottimizzare processi e a generare nuove idee. •⁠ ⁠Realtà mista: il confine tra digitale e fisico si assottiglia. La realtà mista è quella che combina elementi di realtà virtuale e aumentata, creando esperienze immersive e interattive. Questa tecnologia sta già rivoluzionando settori come l'intrattenimento, l'istruzione, la medicina e il turismo, ma nel 2024 si prevede che diventerà ancora più accessibile e integrata nella vita quotidiana. La realtà mista permetterà alle persone di creare e condividere spazi virtuali, di collaborare a distanza e di arricchire la propria percezione della realtà. •⁠ Quantum computing: il calcolo che sfida i limiti della fisica. Il quantum computing è quello che usa i principi della meccanica quantistica per eseguire operazioni che i computer tradizionali non possono fare. Questa tecnologia promette di rivoluzionare settori come la crittografia, la simulazione, l'ottimizzazione e l'intelligenza artificiale, ma nel 2024 si prevede che diventerà ancora più potente e scalabile, grazie ai progressi nella costruzione e nella gestione dei qubit, le unità di informazione quantistica. •⁠ ⁠Economia circolare: la tecnologia che rispetta l'ambiente. L'economia circolare è quella che si basa sui principi di riduzione, riutilizzo e riciclo delle risorse, minimizzando gli sprechi e le emissioni. Questa filosofia è sempre più importante per le imprese che vogliono essere competitive e sostenibili, ma nel 2024 si prevede che diventerà ancora più diffusa e innovativa, grazie all'uso di tecnologie come l'internet delle cose, il cloud computing, la blockchain e l'intelligenza artificiale, che permetteranno di monitorare, ottimizzare e tracciare i flussi di materiali ed energia. •⁠ ⁠Cybersecurity: la tecnologia che protegge i dati. La cybersecurity è quella che si occupa di prevenire e contrastare le minacce informatiche che possono compromettere la sicurezza e la privacy dei dati. Questa disciplina è sempre più cruciale per le organizzazioni di ogni tipo e dimensione, ma nel 2024 si prevede che diventerà ancora più strategica e sofisticata, grazie all'uso di tecnologie come l'intelligenza artificiale, il machine learning, la blockchain e il quantum computing, che permetteranno di rilevare, prevedere e contrastare gli attacchi cyber. Queste sono solo alcune delle tendenze tecnologiche che caratterizzeranno il 2024, ma ce ne sono molte altre che meritano attenzione e approfondimento. Il mondo della tecnologia è in continua evoluzione e offre nuove opportunità e sfide per chi vuole essere protagonista del futuro.
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cinquecolonnemagazine · 1 year ago
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La Meccanica Quasistica di Tiziano Distefano 
Il potere creativo delle parole La Meccanica Quasistica di Tiziano Distefano edito da Transeuropa Edizioni è il libro d’esordio dell’autore, un’insolita raccolta di storie nelle quali si intrecciano scienza, economia e filosofia. In 24 racconti l’autore crea un’interessante osmosi tra l’infinitamente logico e l’infinitamente assurdo. I protagonisti delle vicende sono sia oggetti che persone, ed entrambi si comportano in modo caotico, scomposto, proprio come particelle subatomiche. Mondo reale quindi che si confonde con il surreale per dare al lettore un microcosmo di pura creatività su cui riflettere e in cui le domande esistenziali si accompagnano a quelle legate alle ingiustizie sociali e ambientali. Ringraziamo Tiziano Distefano per l’intervista che ci ha dato modo di scoprire le sue passioni, il suo rapporto con la scrittura e alcuni aspetti centrali della raccolta di racconti La Meccanica Quasistica. La Meccanica Quasistica di Tiziano Distefano  Salve Tiziano, lei è nuovo ai lettori di Cinquecolonne Magazine. Ci racconta brevemente cosa fa nella vita, di cosa si occupa? Attualmente sono ricercatore e docente di Economia Ecologica presso il Dip. di Economia dell’Università di Firenze. Collaboro anche con università straniere in Colombia, Perù e negli Stati Uniti (quali il MIT). In particolare, studio il legame tra la transizione ecologica e la giustizia sociale, tentando di capire in che modo si possano rispettare i limiti biofisici e al contempo garantire un buono standard di vita a tutte le persone. Il concetto di Economia Ecologica si fonda in effetti su questi principi e si lega in modo stretto alle teorie dei sistemi complessi dove i fenomeni possono evolvere in modo imprevedibile, nuove proprietà possono emergere dall’incontro di molti fattori diversi e dove i concetti di causa ed effetto diventano sempre più sfumati. Queste idee impongono un modo nuovo di vedere il mondo, un cambio di paradigma. Penso che la mia ricerca accademica abbia ispirato l’intera raccolta. La Meccanica Quasistica è una raccolta di racconti. Ha mai provato a cimentarsi in un romanzo? Le piacerebbe l’idea? E se no, perché? In effetti il primo tentativo di scrittura fu un romanzo che ancora giace in un cassetto in attesa di essere recuperato. A dir il vero, ho trovato nella narrativa breve una forma più adatta per poter spaziare su molti temi diversi in libertà, trasformando in racconti gli spunti o le intuizioni che ricavavo dalle letture scientifiche e filosofiche. Infatti, per me, il Quasismo rappresenta un esperimento letterario che gioca sul confine sottile che divide realtà e immaginazione. L’obiettivo è quello di indagare il potere creativo di tutto ciò che sembra paradossale o contraddittorio. Insomma, un modo per sfidare il nostro senso comune e vedere quali nuovi mondi possiamo esplorare. Le storie che narra nel suo libro sembrano tutte molto surreali. Ma c’è un filo rosso che le unisce o che unisce i suoi protagonisti? Ognuna delle 24 storie è incentrata su un personaggio diverso, in molti casi neppure umano - c’è un sasso, una libreria, un dado, un albero e persino la Morte in persona! Quindi, ciò che unisce i personaggi è il fatto di essere “strani” e di vivere vicende assurde. La scelta di uno stile surrealista mi ha permesso di offrire diversi livelli di lettura e di seguire binari non ordinari nello svolgimento delle storie: più che la trama, diventano rilevanti le suggestioni che vengono prodotte, un po’ come accade nei sogni. Non a caso i dipinti surrealisti avevano un forte connotato onirico. In questo modo, è possibile capovolgere il nostro punto di vista e ripensare il concetto di a-normale, diverso, contraddittorio; insomma, tutto ciò che in genere escludiamo dalle nostre vite. In fondo, a detta dei fisici stessi, la meccanica quantistica è una teoria assurda, eppure funziona! Quando è entrata la scrittura nella sua vita? Com’è avvenuta la magia? Ho iniziato a scrivere in modo sistematico durante gli anni del dottorato quando, ogni giorno, dovevo fare un’ora di bus per raggiungere l’Università. Negli ultimi anni mi sono avvicinato alla narrativa breve grazie a grandi maestri quali Borjes, Calvino, Munro, Buzzati e Manganelli. E sono rimasto fulminato sulla via di Damasco: decisi che quello sarebbe diventato il mio stile.A ben pensarci, la scrittura è veramente magica: pochi segni su di un pezzo di carta sono in grado di produrre emozioni, di farci progettare grandi opere, di scoprire leggi naturali o di segnare il destino di interi popoli. Quindi è incredibilmente potente. Per questo penso che la letteratura debba essere presa sul serio: la scrittura diventa quindi un’ottima palestra per immaginare e costruire un mondo migliore. Ci racconta qualche sua abitudine di scrittura? Non so, decide diligentemente ogni sera di impegnarsi a scrivere una storia, prende la penna solo quando ha l’ispirazione, scrive sempre e di tutto in qualsiasi momento? In ossequio alla filosofia Quasista non posso di certo indicare una chiara e precisa regola, quanto un insieme frastagliato di abitudini che ho seguito in modo più o meno volontario. Il mio luogo prediletto è stato il divano rosso del salotto che, essendo troppo corto per potercisi sdraiare, impone una posizione abbastanza scomoda per addormentarsi ma piuttosto adatta alla scrittura. Inoltre, dato che ogni racconto è diverso e ispirato a suggestioni occasionali, che trovavo in altre letture o in dettagli catturati nei luoghi più disparati, ero solito registrare un audio sul cellulare per potermene ricordare. Poi, appena trovavo il tempo o ne sentivo il bisogno, mi mettevo a sedere e scrivevo direttamente al computer. Ecco, un ingrediente importante è il tempo, risorsa sempre più scarsa: in fondo tutti/e siamo alla continua “ricerca del tempo da perdere”. Insomma, l’ozio è importante per scrivere e per vivere bene. Read the full article
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scienza-magia · 1 year ago
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La Birmania prima nel triangolo d'oro dell'oppio
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Birmania diventata il primo produttore al mondo di oppio. Superato l'Afghanistan, secondo un rapporto dell'Onu. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato oggi, la Birmania è diventata il principale produttore mondiale di oppio: superato l'Afghanistan, dove i talebani ne hanno vietato la coltivazione.
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L'ultimo rapporto dell'Ufficio dell'Onu per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc), afferma che nel 2023 in Birmania sono state prodotte circa 1.080 tonnellate di oppio, essenziale per la produzione di eroina, rispetto alle 790 del 2022. In Afghanistan, secondo l'Unodc, il calo della produzione di oppio è stato del 95%, a circa 330 tonnellate, dopo che i talebani hanno vietato la coltivazione del papavero nell'aprile dello scorso anno. Il 'triangolo d'oro', la regione di confine tra Birmania, Laos e Thailandia, è da tempo un focolaio di produzione e traffico di droga, in particolare di metanfetamine e oppio. L'Unodc stima che la 'economia degli oppioidi' della Birmania frutti tra 1 e 2,4 miliardi di dollari, l'equivalente dall'1,7% al 4,1% del Pil del paese dell'Asia sudorientale. Read the full article
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carmenvicinanza · 1 year ago
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Ruby Hamad
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Ruby Hamad femminista, accademica e giornalista, racconta forme insidiose di discriminazione e altre manifestazioni quotidiane di razzismo interiorizzato.
È l’autrice di How White Women use Strategic Tears to Silence Women of Colour, nato dall’omonimo articolo del 2018, pubblicato per The Guardian Australia, che in italiano è stato tradotto col titolo Lacrime bianche / ferite scure. Femminismo e supremazia bianca. Un punto di riferimento globale per le discussioni su femminismo bianco e razzismo.
Nata in Libano e cresciuta a Sidney, in Australia, ha studiato sceneggiatura e regia cinematografica al Victorian College of the Arts, si è laureata in economia politica presso l’Università di Sydney e conseguito un master in giornalismo e pratica dei media presso l’Università di Sydney. Insegna storia e scienze sociali presso l’Università di Western Sydney.
Ha scritto articoli su diverse importanti riviste internazionali e tenuto il discorso di apertura della Giornata internazionale della donna 2017 e Feminist Intersection – In Conversation (con Celeste Liddle) per il Queen Victoria Women’s Centre, e l’hosting di panel al Melbourne Writers Festival e al Newcastle Writers Festival.
Redattrice per la pubblicazione femminista progressista The Scavenger, ha prodotto una serie di saggi sul significato culturale e politico del cibo e creato una serie su persone affette da disturbi mentali che indaga il mito che ha contribuito a plasmare l’opinione pubblica sullo stigma della malattia mentale.
Il suo primo libro, How White Women use Strategic Tears to Silence Women of Colour,  definito “Miglior libro del 2020” da Cosmopolitan, Harper’s Bazaar, Kirkus Reviews e Publishers Weekly, è una condanna bruciante e ad ampio raggio della ‘femminilità bianca strategica’ e della ‘svalutazione storica delle donne di colore’ nella cultura occidentale. 
Attraverso testimonianze, un’accurata ricostruzione storica, la sua esperienza personale e il ricorso alla cultura pop del cinema e delle serie TV, ha scritto un aperto atto di accusa al femminismo bianco liberale incolpato di non voler fare i conti con il proprio passato coloniale in cui le donne hanno esercitato – seppur da subalterne rispetto agli uomini – un potere e un ruolo fondamentale nel fissare gli standard dell’umanità nel suo complesso, incarnati nell’uomo bianco, ma anche nelle donne bianche. Non guardare alla storia, significa continuare a esercitare e perpetuare quel potere e pensare al razzismo solo come a un comportamento individuale e non come a un elemento fondamentale della costruzione binaria della identità femminile in cui alle donne bianche è stata riservata la parte di “damigella in pericolo” mentre alle nere la parte selvaggia e in definitiva subumana.
Dalla schiavitù al linciaggio e all’allontanamento forzato di bambini indigeni, le donne bianche sono state complici degli uomini bianchi nel razzismo e nella violenza, con il pretesto di proteggere la femminilità bianca. L’autrice esamina come questa eredità di secoli di violenza razziale e colonialismo da parte dei bianchi si manifesti ancora oggi nella vita di donne nere, asiatiche, latine, indiane, musulmane, arabe e indigene di tutto il mondo.
C’è da specificare che quando parla di “donne bianche” e di “donne nere” i termini non sono descrittivi ma politici. Non differenzia per colore della pelle ma si riferisce a coloro che beneficiano della bianchezza intesa come privilegio razziale. Quando parla di nero o marrone intende coloro che ne sono escluse in vari gradi secondo un confine in continuo movimento e di volta in volta rideterminato dalla colonialità globale in cui la razza (intesa come imposizione sociale) è il criterio fondamentale per la distribuzione della popolazione mondiale secondo ranghi, luoghi e ruoli nella struttura sociale e del potere.
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corallorosso · 3 years ago
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Il gioco pericoloso della NATO tra Ucraina e Russia Di Alessandra Ciattini per La Città Futura Per settimane, gli Stati Uniti e soprattutto il Regno Unito, con la Nato, hanno alimentato forti tensioni nel cuore dell’Europa, accusando la Russia di ammassare truppe e armi ai confini con l’Ucraina e di preparare un’invasione imminente della ex repubblica sovietica (...) Invasione che, poiché non è avvenuta, ora è prevista da questi grandi strateghi per l’anno prossimo. Analogamente il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha respinto la possibilità di un’invasione russa, sottolineando che il numero di soldati russi ammassati lungo il confine con l’Ucraina è insufficiente per un’offensiva su vasta scala lungo l’intero confine ucraino, non essendo questi nemmeno dotati di adeguati sistemi militari per portare a termine un’operazione del genere. Se non capiamo male, gli stessi capi ucraini ci fanno intendere che la propaganda di guerra della Nato diffonde un mucchio di bugie per alimentare tensioni in un’Europa già stremata dalla pandemia (ad oggi 1.721.360 morti). Tuttavia, queste bugie gettano luce sull’aggressività degli Usa in declino. Per esempio, l’ex colonnello dell’esercito statunitense Alexander Vindman, coinvolto nei colloqui tra Stati Uniti e Ucraina, ha dichiarato al canale televisivo Msnbc che l’aggressione russa deve essere fermata con una guerra della Nato per difendere l’Ucraina. Insistendo irresponsabilmente su questo tema, ha aggiunto che stiamo per avere la più grande guerra in Europa dalla Seconda guerra mondiale. Ha addirittura previsto un massiccio dispiegamento di potenza aerea, artiglieria a lungo raggio, missili da crociera, nelle sue parole “cose che non si sono viste nel panorama europeo da più di 80 anni”. (...) è stata proprio l’Ucraina a non rispettare gli accordi di Minsk, come d’altra parte essa stessa riconosce, i quali prevedevano tra l’altro il rispetto dell’autonomia delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. Ricordo che l’attuale regime ucraino è frutto di un un colpo di Stato di estrema destra, sostenuto da Washington, che ha rovesciato il precedente governo filorusso nel 2014. In questa difficile situazione, in cui due potenze discutono del destino di un paese “sovrano”, come al solito l’Unione Europea, divisa e incerta, lascia che la sua sicurezza e gli interessi della sua popolazione vengano contrattati da due attori esterni in un patteggiamento destinato molto probabilmente all’insuccesso, data la radicale incompatibilità degli obiettivi della Russia e degli Stati Uniti. E ciò soprattutto per l’incapacità di svincolarsi dalla subordinazione agli Usa per stabilire relazioni pacifiche con la Russia, le cui materie prime sono indispensabili al funzionamento della sua economia. (...) Nel caso in cui fossero approvate tali sanzioni, il ministro degli esteri russo, Sergey Lavrov, ha già fatto sapere che la Russia romperà le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti. Più netti sono stati gli esponenti politici dell’Ungheria e della Croazia. Il ministro degli esteri ungherese ha affermato che non intende inimicarsi la Russia e che non appoggerà l’Ucraina, nel cui territorio la minoranza ungherese è fortemente discriminata. Il presidente della Croazia ha dichiarato, invece, che, in caso di conflitto, ritirerà le proprie truppe dai contingenti Nato stanziati nell’Europa orientale. Molte sono le ragioni dell’aggressività della superpotenza americana, alla quale sarebbero graditi la frammentazione della Russia in vari stati, in modo da renderla più docile, e magari un ritorno alla fase precedente all’ascesa di Putin, quando i consiglieri economici, impregnati dell’ideologia neoliberista, e gli assessori militari statunitensi tenevano sotto sorveglianza il paese euroasiatico [1]. (...) *********** [1] In una recente conferenza stampa Putin ha ricordato che nel 1918 un consigliere di Woodrow Wilson affermò che la sicurezza mondiale sarebbe stata assicurata se la Siberia si fosse staccata dalla Russia per costituire uno Stato autonomo, e se in Europa si fossero formati altri quattro Stati indipendenti dal grande paese euro asiatico. La frammentazione della Russia è, dunque, un disegno antico, ed è necessaria per saccheggiare liberamente i suoi territori.
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glipterodattilivolano · 5 years ago
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L’ideologia dei piccoli borghi e come abitarci davvero
[articolo di Sandro Bozzolo tratto da “l’ExtraTerrestre”, supplemento de “il manifesto” del 7 maggio 2020]
«Da qualche giorno, sulle pagine di alcuni tra i principali quotidiani italiani, tiene banco un antico dibattito, mai accantonato perché mai risolto, mai risolto perché mai affrontato davvero. Si tratta del decidere cosa farne dei piccoli borghi, di queste aree interne che, se da un lato definiscono l’essenza storica dell’Italia, d’altro canto rimangono oggetto misterioso per uno sguardo ormai addestrato alla logica della città. Parafrasando un vecchio adagio grossolano, “ascoltare urbanisti parlare di aree periferiche è come ascoltare un gruppo di uomini parlare di aborto”, e il riferimento è alle affermazioni degli architetti e urbanisti Stefano Boeri e Massimiliano Fuksas, che hanno recentemente auspicato una riscoperta delle aree extra-urbane. A queste sollecitazioni ha risposto anche Francesco Chiodelli (il manifesto del 24 aprile, “Città, piccoli centri e pandemia”). Il problema, osservato dal punto di vista di chi - documentarista e dottore di ricerca, castanicoltore - scrive dalla piccola valle Mongia, al confine tra Piemonte e Liguria, prende le sembianze concrete della signora Delia, ottant’anni compiuti, che con la forza della tenacia mantiene in piedi un ecosistema perfetto, di elegante autarchia. Con le lacrime agli occhi, Delia l’altro ieri si chiedeva che ne sarà di quel posto, dal giorno in cui a lei verranno a mancare le forze. Per uno strano scherzo del destino, poche ore più tardi i social network mi proponevano le stories del nipote di Delia. Rinchiuso nei suoi pochi metri quadri, il nipote di Delia ha avviato un food blog nel quale propone la narrazione di se stesso mentre cuoce il branzino. Di fronte a quell’immagine ambigua, non potevo fare altro di chiedermi: cos’è andato storto? Dove abbiamo sbagliato? Molte borgate stanno crollando, molti alberi innestati secoli fa saranno presto mangiati dalla vegetazione selvaggia, molti sentieri che portano verso antiche fontane tra pochi anni non saranno più leggibili. Un patrimonio di conoscenza che è frutto della biodiversità culturale che l’Italia ha saputo coltivare nella microparcellizzazione del suo territorio parrebbe essere condannato al disastro. Ben venga, dunque, un serio dibattito circa il destino di uno stile esistenziale coltivato lungo i secoli, soprattutto in un’epoca, come quella attuale, che ha mostrato in maniera evidente l’inadeguatezza di quel che Pasolini definì “sviluppo senza progresso”. Ciò che è stato malamente accantonato è un territorio quasi interamente terrazzato, addomesticato e reso abitabile, garantendo canoni di bellezza estetica e di sostenibilità il cui riflesso ha contribuito (e potrebbe continuare a farlo) a rimodellare un’intera economia e un’intera società. Si tratta, in primo luogo, di un paradigma che intende la vita umana come un’esperienza il più possibile completa, fondata su un rapporto armonico tra l’essere umano e lo spazio circostante, tra lavoro manuale e azione intellettuale, in un prendersi cura del mondo che va oltre alla mera soddisfazione di saper produrre con le proprie mani parte di ciò che si consuma. Abitare i piccoli borghi o le aree interne, scegliere un luogo non codificato sulla digital map per condurre la propria esistenza significa educarsi alla visione prospettica, alla molteplicità degli orizzonti, alla fisicità degli elementi. Una visione alla quale non siamo più abituati: basti pensare alla domanda ricorrente più volte sentita da amici o conoscenti, miei coetanei nati negli anni Ottanta, quando vengono a trovarmi a Viola Castello, metri 850 sul livello del mare: “Qui è bellissimo. Ma come fai a viverci?”. Tralasciando ogni considerazione sull’assurdità della domanda (”come fai a vivere in un luogo bello?”), vorrei soffermarmi sul fatto che il “qui” in questione è ubicato a soli 20 km da un casello autostradale, una stazione ferroviaria, un ospedale mutilato ma ancora funzionante, una scuola superiore, un cinema, un teatro e un circolo culturale. Questi 20 km, che equivalgono a 20 minuti di viaggio in una valle-giardino, dovrebbero forse rientrare in ciò che alcuni intellettuali, e tra di essi Francesco Chiodelli, definiscono “il costo ambientale ed economico della dispersione residenziale?”. Verrebbe da chiedersi per quanto tempo ancora le istituzioni preposte al sapere e alla costruzione del mondo di domani continueranno a educare uno sguardo arreso, addestrato ad accontentarsi di una prospettiva mutilata dal vetro di una finestra o dalla ringhiera di un balcone, emblemi perfetti della condizione attuale di un’intera società. Non resta dunque che augurarsi la migliore evoluzione possibile per questo dibattito, nella speranza che dalla condivisione critica possano sorgere azioni concrete per invertire la rotta.»
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3nding · 5 years ago
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Il signore che vedete in foto è Andrea Fortis stando a quanto dice il suo profilo LinkeDin è il Direttore Generale di Estendo SpA.
Il Sig. Fortis sarebbe probabilmente da elencare tra quei capitani coraggiosi (sic.) dell’imprenditoria italiana le cui doti vengono esaltate ad intervalli irregolari da riviste e rubriche di Economia & Finanza.
La Estendo SpA offre un servizio sempre più reclamizzato, quello dell’estensione di garanzia.
Nel 2019 chiunque avrà purtroppo avuto modo di sperimentare la scarsa vita dei prodotti elettronici, la quale spesso termina in coincidenza col periodo di garanzia legale (cfr. obsolescenza programmata).
Se oltre confine ed oltre oceano la questione viene affrontata in vari modi, qui in Italia l’estensione di garanzia viene proposta contestualmente all’acquisto di un piccolo o grande elettrodomestico, facendo intendere al consumatore che il prodotto avrà la stessa copertura di legge estesa per altri anni.
Le cose non stanno così.
Come è possibile leggere dalle recensioni infuriate degli utenti, Estendo SpA più volte ha ritenuto impossibile riparare oggetti che avevano all’attivo pochi anni dall’acquisto (se ci pensate il massimo dell’estensione di garanzia acquistabile al momento corrisponderebbe a 2 anni, ovvero 2 di garanzia legale e 2 aggiuntivi con l’estensione), offrendo al cliente un buono spendibile unicamente presso l’esercizio in cui era stato acquistato l’oggetto, decurtato del valore dell’assistenza/analisi eseguita oltre ad un’ulteriore riduzione di una percentuale calcolata su base annuale.
Così alcune persone che avevano acquistato elettrodomestici per cifre anche superiori ai 600 euro si sono viste proporre buoni del valore di poche centinaia di euro, senza potersi rivolgere ad altri soggetti per valutare effettivamente l’entità della riparazione o poter scegliere se vendere l’oggetto rotto per parti di ricambio.
Perchè il vero colpo di genio (del male) non è quello di non offrire una reale estensione della garanzia, offerta in maniera mendace in negozio, quanto quello di appropriarsi di un apparecchio usato per poi poterlo rivendere pezzo per pezzo se non a peso.
Il contratto che viene stipulato con l’acquisto dell’estensione di garanzia è scritto appositamente per difendere la società da rivalse più che giustificate da parte del cliente.
Il problema a parer mio è che l’estensione di garanzia non viene mai proposta per come si presenta nel contratto, ma viene venduta come prolungamento della garanzia legale.
Quanto possa durare questa zona grigia che ha i contorni della truffa non saprei dirlo. In Italia potrebbe andare avanti ancora per molto considerate le armi sempre più spuntate delle associazioni dei consumatori (e sorvoliamo sul codacons che si occupa del Festival del Cinema di Venezia).
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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Donald Trump inaugura il suo secondo mandato: "Inizia una rivoluzione del buon senso"
Il 47° Presidente degli Stati Uniti promette di ripristinare la sovranità nazionale e riformare le istituzioni americane.
Il 47° Presidente degli Stati Uniti promette di ripristinare la sovranità nazionale e riformare le istituzioni americane. Il 20 gennaio 2025, Donald Trump ha prestato giuramento come 47° Presidente degli Stati Uniti, segnando un ritorno storico alla Casa Bianca dopo il suo primo mandato. La cerimonia si è svolta all’interno del Campidoglio a causa delle rigide condizioni climatiche, con circa…
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giovaneanziano · 6 years ago
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Valutiamo questa foto del Ministero Economia e Finanza:
Padova è in Trentino, in Val di Ledro
Milano sta cercando di invadere il Piemonte
Genova s'è stufata di stare al mare e vuole il Piemonte pure lei
Brescia punta la Svizzera
Bologna è sul confine col Veneto
La geografia di questo governo è da 10 e lode
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idea-multilateral · 2 years ago
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Idea
Oggi è in gioco la dignità della maggior parte delle persone e la sopravvivenza di interi territori.
Migliaia di piccole e medie imprese, principalmente attività a conduzione famigliare, rischiano di essere confinate in modo crescente sempre più ai margini, se non di essere “scartate” dal circuito economico.
É perciò giunta l’ora di dar seguito ad una ripresa di ciò che è autenticamente umano.
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La recente crisi finanziaria generata dalla pandemia prima e dalla guerra poi, poteva essere la grande occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria, neutralizzandone se non in tutto, almeno in larga parte gli aspetti predatori e speculativi, valorizzandone il servizio a vantaggio dell’economia reale.
Ed è qui che entra in gioco la soluzione proposta da 💡!dea Multilateral, un sistema economico basato sullo scambio di beni e servizi, in grado di generare liquidità. Diceva John F. Kennedy “La parola crisi, scritta in cinese, è composta da due caratteri. Uno rappresenta il pericolo è l’altro rappresenta l’opportunità.”
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annalisalanci · 3 years ago
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La fortuna dell'enciclopedia
La fortuna dell'enciclopedia
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Enciclopedia
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Palazzo dell'Eliseo
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Parigi
Dopo le lotte degli anni 1751-1759, la condanna del Parlamento di Parigi colpì una fenice destinata a rinascere dalle sue ceneri nel corso degli anni seguenti: la ristampa lucchese, le due edizioni di Livorno, i supplementi e le rielaborazioni francesi, le numerose edizioni svizzere, gli adattamenti e le traduzioni russe, si susseguirono, in un diagramma tangibile della diffusione delle idee dell'Europa dei lumi. Rivoluzione francese: quando il riflusso controrivoluzionario e antigiacobino addossò a Rousseau e a Voltaire e ali enciclopedisti la "faute" del Terrore, anche l'opera simbolo stesso dei lumi fu coinvolta in una sommaria condanna. Alle soglie del nuovo secolo, il materialismo, l'irreligione, la critica sociale e politica, il pragmatismo scientifico e tecnologico dell'Enciclopedia apparvero dotati di una carica eccesiva: demoni da esorcizzare.
Il disinteresse degli studiosi per l'Enciclopedia, dal secolo XIX fino ai primi decenni del XX, fu l'effetto di quella condanna, il riflesso dell'opera di esorcizzazione. I manuali e le opere di sintesi minimizzavano e travisavano, il ruolo svolto degli enciclopedisti nella cultura scientifica, politica ed economica dell'età loro. L'Enciclopedia figurava come metafora mal nota, da rendere attuale la metafora con cui si era espresso Federico il Grande a proposito del viaggio in Russia di Diderot, passato a nord del confine prussiano: <<Un grande fenomeno enciclopedico, descrivendo una ellissi ha sfiorato i limiti del nostro orizzonte; i raggi della sua luce non sono giunti fino a noi...>>
Nel 1951 il bicentenario della pubblicazione dell'Enciclopedia coincise, con una diffusa ripresa di interesse per la cultura e la filosofia dei lumi. Nel 2001 la scadenza celebrativa del 250° anno ha fornito un'occasione di bilancio e nuovi programmi di ricerca. La minuta industria filologica che si esercita ha affrontato una serie dei problemi testuali: i contributi autonomi, la ricerca delle "fonti" di singole voci, l'identificazione delle varie mani che hanno cooperato alla manipolazione enciclopedica, i raffronti con gli scritti extra-enciclopedici degli stessi autori, le biografie e il destino ulteriore dei collaboratori massimi e minimi, infine la decifrazione di un linguaggio spesso volutamente contraddittorio, elusivo o mistificato.
Si colma una lacuna molto vistosa: porre sotto gli occhi di chi non partecipa direttamente ai lavori i testi che sono al centro delle discussioni tra specialisti. Il Discorso preliminare di d'Alembert, la voce Economia politica di Rousseau, gli articoli di Diderot e dei teorici della Fisiocrazia, si sono moltiplicate nelle varie raccolte di opere dei singoli autori. Numerose scelte antologiche presentano l'Enciclopedia quale realmente fu: <<una macchina da guerra, un dizionario tecnico e scientifico, un'opera di collaborazione e di contemplazione. Sono state fatte selezioni o ristampe integrali dei volumi di planches, volte a soddisfare diversi interessi: la documentazione tecnologica e scientifica, l'iconografia delle arti e dei mestieri, gli usi e costumi, il gusto estetizzante per la grafica libraria, e così via. Altre selezioni, hanno attratto l'attenzione sulle voci più significative di contenuto politico e sugli articoli-chiave dell'ideologia.
E' possibile consultare on-line, l'edizione originale francese. Navigando in rete è possibile avere accesso a: repertori, notiziari divulgativi e didattici, annunci di seminari e convegni, informazioni biografiche riguardanti l'impresa i suoi promotori e collaboratori, lo stato delle ricerche, le singole voci, le planches, e così via.
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scienza-magia · 1 year ago
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Principio di giustizia fondata sull'utilità sociale
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John Stuart Mill e il “senso sociale” della giustizia. Nell’ottica di Mill, un’azione giusta è necessariamente un’azione morale. Ma è sempre vero il contrario? La risposta sta nel confine, e nel rapporto, fra i due concetti. Nella visione elaborata dal filosofo inglese John Stuart Mill l'idea di giustizia è certamente legata alla dimensione morale. Un'azione giusta è con certezza un'azione morale. La cosa interessante, però, è che, al contrario, non tutte le azioni morali hanno a che fare direttamente con l'idea di giustizia. Mill utilizza l'esempio della beneficenza e della carità. Due comportamenti lodevoli e associati ad un senso di moralità. Eppure, nonostante, questo, sarebbe difficile poter definire ingiusta la scelta di una persona di fare beneficenza per una causa ma non per tutte le cause, oppure fare la carità verso una persona ma non verso chiunque altro si trovi in condizioni di bisogno. Il confine fra giustizia e moralità Cosa distingue, dunque, giustizia da moralità? Un'azione morale è anche giusta, nella visione di Mill, quando questa può essere, in qualche modo, «pretesa» dal beneficiario. Il datore di lavoro che paga un salario proporzionato allo sforzo messo in campo dal lavoratore si sta certamente comportando in modo morale, ma anche giusto, perché il lavoratore è titolato a pretendere il suo giusto salario. Un medico che cura con perizia un suo paziente si sta comportando in maniera morale, ma anche secondo giustizia, perché il paziente è titolato ad esigere un tale trattamento dal suo medico.
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Ora, l'intenzione di Mill è quella di spingersi ancora più a fondo nella chiarificazione dell'idea di giustizia, in particolare per quanto riguarda l'origine di quel “sentimento” che tutti noi associamo ad atti che riteniamo ingiusti. «Avendo così tentato di determinare gli elementi distintivi che concorrono alla formazione dell'idea di giustizia – scrive Mill, nel capitolo V de L'Utilitarismo (1861) - possiamo cominciare a chiederci se il sentimento che l'accompagna sia associato ad essa grazie a uno speciale dono della natura, oppure se si sia sviluppato, in base a qualche legge conosciuta, dall'idea stessa, e in particolare se possa aver tratto origine da considerazioni di convenienza generale». Le possibilità sembrano essere due: o ciò che noi sentiamo nel profondo quando siamo posti davanti ad un atto ingiusto è una specie di istinto che deriva da una qualche proprietà naturale legata all'idea di giusto e ingiusto, oppure esso trae origine dal legame che ha con l'idea di utilità, di convenienza. Mill propende per una terza posizione, più sfumata. Egli, infatti, ritiene che «il sentimento in sé non derivi da quella che verrebbe comunemente o correttamente definita un'idea di convenienza, ma che, sebbene il sentimento non derivi da tale idea, tutto ciò che vi è in esso di morale abbia questa derivazione». È la natura morale che associamo alla giustizia a trovare, dunque, il suo radicamento nella proprietà dell'essere «utile». La doppia radice del comportamento «utile» Le radici, allora, sono da una parte, il desiderio di punire chi fa del male, a noi o ad altri, e dall'altra, la convinzione che qualcuno o noi stessi, siamo stati effettivamente trattati ingiustamente. La prima radice, a sua volta, trova origine nel naturale istinto di autodifesa e nel sentimento di “simpatia” che ci fa solidarizzare con i dolori altrui. Una lettura decisamente moderna, questa, confermata da molti recenti studi di antropologia, neuroscienze ed economia comportamentale. Se è vero che l'istinto di autodifesa è comune ad ogni specie animale superiore, è anche vero, continua Mill, che nell'uomo sia questo istinto che quello di simpatia si sono sviluppati al massimo grado. Grazie alla «superiore intelligenza», continua il filosofo, non solo gli esseri umani si interessiamo alla loro sorte e a quella di chi è imparentato geneticamente, come fanno generalmente le altre specie animali, ma anche al destino di coloro che ci sono estranei, geneticamente, ma che pure condividono con noi la comune umanità. E ancora grazie alle doti tipicamente umane, il giusto e l'ingiusto si applicano a una gamma molto ampia di sentimenti che superano il benessere individuale. «Un essere umano è capace di abbracciare una molteplicità di interessi, sussistenti fra sé e la società umana della quale fa parte: ogni azione che possa turbare la sicurezza della società in generale mette in pericolo anche la sua e ne sollecita l'istinto (se è tale) di autodifesa. La stessa superiorità di intelligenza, unita alla capacità di simpatizzare con gli altri, gli consente di aderire all'idea collettiva della sua tribù, del suo paese o dell'umanità a tal punto che ogni atto ad essi nocivo stimola il suo istinto di simpatia e lo spinge a opporre resistenza”. Come abbiamo detto, è il desiderio di punire chi si comporta male, a fondare il sentimento di giustizia, che però, in questa, fase non può ancora essere considerato «morale». Potremmo per esempio voler punire chi ci ha punito come reazione ad un'ingiustizia di cui noi stessi ci siamo resi colpevoli. In questo caso non possiamo certo definire questo desiderio di «contro-punizione» come «morale». Ciò che determina la moralizzazione del desiderio di punire è, qualcos'altro e cioè la sua conformità al “senso sociale”, il fatto che possa agire soltanto in una direzione conforme al bene generale sottolinea Mill. Il desiderio di punizione e il sentimento di giustizia In sintesi, dunque, possiamo dire che il sentimento di giustizia trova origine dall'esistenza di una regola di condotta che quando violata, genera un naturale desiderio di punizione. Occorre, inoltre, che vi sia anche una persona che abbia subito una violazione di qualche suo diritto, che abbia, quindi, titolo per attendersi legittimamente un qualcosa che gli è stato negato. La spinta alla punizione che si origina in questo modo deve, poi avere un orientamento sociale, deve cioè, concorre, sia pure indirettamente, al bene di tutta la società, non solo dell'individuo offeso. La parte finale dell'argomentazione milliana si concentra sul legame esistente tra giustizia ed utilità. Davvero il giusto è ritenuto giusto perché utile? Per prima cosa il filosofo si impegna nella critica di tutte quelle posizioni che indicano nell'“utilità” una norma decisionale incerta, mostrando che, in realtà, anche tutte le fondazioni alternative al concetto di giustizia sono altrettanto incerte e danno luogo a paradossi e ambiguità insolubili. Ne conclude che «qualsiasi scelta sul terreno della giustizia è necessariamente arbitraria: solo l'utilità sociale può costituire un criterio di preferenza da queste confusioni non c'è altra via di uscita che l'utilitarismo». Il giusto, l’utile e il bene supremo Ma esiste allora una differenza tra il «giusto» e l'«utile»? Certo che esiste, conclude Mill. «La nostra esposizione della natura e dell'origine del sentimento di giustizia ammette una reale distinzione Mentre io contesto le pretese di qualsiasi dottrina che affermi un presunto principio di giustizia non fondato sull'utilità, riconosco che la giustizia fondata sull'utilità è l'elemento fondamentale e indubbiamente il più sacro e vincolante di tutta la morale. Giustizia è il nome che si dà ad alcune categorie di regole morali che, riguardando più da vicino l'essenza del benessere umano, sono quindi più vincolanti di ogni altra regola per la condotta: la nozione che abbiamo scoperto essere l'essenza dell'idea di giustizia, quella di un diritto immanente in ogni individuo, implica e attesta questa più rigida obbligazione». Il rispetto delle regole di giustizia è utile, quindi, nel senso che solo attraverso questa osservanza è possibile garantire il bene supremo e, cioè, la pacifica convivenza degli uomini. Questa altro non è che la precondizione per l'attuazione del primo principio della morale: il principio della massima felicità. «Giustizia» è, dunque, il nome appropriato dell'utilità sociale, utilità che nella visione milliana, però, supera in grado e importanza la semplice idea di piacere o convenienza dei singoli per designare l'utile coerente con il bene sociale. Read the full article
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abr · 6 years ago
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Lo spread tra il Btp decennale e il Bund tedesco ha conosciuto proprio ieri, nonostante sia diventata decreto legge una manovra economica aspramente criticata da tutti, una giornata di tregua. Poi magari domani vola a 400. Poi magari a fine mese Standard and Poor's (questo è sicuro) declasserà di un gradino il rating dell'Italia e lo spread volerà ancora. Forse la Commissione europea dei credibilissimi (!) Juncker e Moscovici rincarerà tanto aspramente la dose delle loro critiche all'Italietta scialacquona che la metterà finalmente in ginocchio. Ma forse anche no. Perché la JpMorgan, prima banca americana e quindi del mondo o giù di lì, ha detto che in fondo, e nel suo insieme, l'economia italiana non è così malaccio (...) Ma c'è di più e anzi c'è ben altro. C'è stato il voto bavarese. (...) (...) anche la Spagna prepara una manovra in deficit, (...) la Francia ha appena fissato al 2,8% il suo rapporto deficit/Pil (...)  Ma chi l'ha detto che non abbiano avuto ragione i giapponesi, vissuti vent'anni col debito al 180% del Pil (...)? Che l'Italia sia uno Stato da operetta, dove non funziona più neanche un ufficio della pubblica amministrazione (...) è un dramma, sì; ma non è di questo che s'allarmano, come invece e semmai dovrebbero, i partner europei. Si allarmano degli zero-virgola e tentano maldestramente di ricacciare oltre il confine italiano i migranti che, poveracci, hanno capito che il Bengodi non è a Roma e vogliono provare se sopravvivere meglio a Lione o dintorni o tornarsene, piuttosto che a Riace, in Rwanda. Insomma, se l'Atene delle cicale giallo-verdi piange, la Sparta di Merkel e Moscovici certo non ride. E la vacanzina dello spread, per breve che possa da domani rivelarsi, è lì a dimostrarlo.
Da IlSussidiario, fonte “moderata”, mica da qualche blog di oscuri bimbiminkia simpatizzanti sovranisti fassisti via http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2018/10/17/MANOVRA-E-SPREAD-La-sconfitta-che-l-Europa-di-Juncker-e-Moscovici-nemmeno-vede/844450/
Intanto il cretino collettivo continua a stracciarsi le vesti (ma quante vesti ha?), come se fosse scandaloso anticipare i buchi nel preventivo invece di aspettare furbettamente il consuntivo come insegnano i maestri democristosocialisti.  Fingendo che il problema sia lo zervorigola e non la “piccola europa” che abbiamo in casa (Nord vs. Sud). 
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corallorosso · 5 years ago
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Lui si chiama Ahmed, e a 32 anni ha vissuto cinque vite. Cento delle nostre. La prima è cominciata a Entkena, in Sudan, dove è nato nel 1987, quarto di sette fratelli. Un'infanzia vissuta in povertà assoluta, lo studio come unica scelta per evitare di imbracciare una mitragliatrice. Ahmed si è trasferito nella capitale Karthoum, dove si è laureato in Economia, insegnava e si è pure sposato. La seconda vita è iniziata il giorno in cui i miliziani filogovernativi hanno espugnato la sua città. È stato rinchiuso in un carcere nel Darfur, insieme a tutta la sua famiglia, privato della nazionalità, di ogni diritto civile o umano, è stato torturato, ha visto morire davanti agli occhi il padre e i sei fratelli. Si è salvato perché i miliziani lo credevano morto, abbandonato in un campo in mezzo al nulla, dove alcuni contadini lo hanno trovato e soccorso. La terza è quella della fuga verso l'ignoto, senza lo straccio di un documento in mano. Prima tre anni in Libia, poi la caduta di Gheddafi nel 2011 e il viaggio, disperato, su un barcone verso l'Europa. In quel momento, dopo tutto quello che hai visto, il confine tra vivere e morire è sottile come il canotto su cui navighi. La traversata dura una settimana. Metà dei suoi compagni muore affogata o di stenti. Ahmed fa in tempo a vedere le coste di Lampedusa. Festeggia, Ahmed. Ma non ha idea di cosa lo aspetta. La quarta riparte da un hotel, in Calabria. Quando il progetto di accoglienza di cui fa parte cessa di colpo, Ahmed si ritrova per strada, e poi a Torino, a dormire di notte al freddo sulle panchine delle stazioni, e infine a Bologna, alla "Casa gialla", in venti ammassati in pochi metri, cercando di studiare come può, quando riesce. Subisce persino un'aggressione razzista. "Negro di m****" gli dicono, e forse non lo sanno quello che Ahmed ha vissuto per essere lì, le notti passate a studiare, i turni come cameriere, come commesso al Mc Donald's, da addetto alle pulizie allo stadio, per potersi pagare l'università. La vita di Ahmed, la quinta, è ricominciata ieri, a Torino, dove si è laureato dottore magistrale in Scienze Internazionali con una tesi sui diritti umani in Darfur, la regione da dove viene e dove ha perso tutto. Sul frontespizio c'è una dedica. "A Nelson Mandela": il figlio che ha avuto pochi mesi fa dalla moglie, rifugiata anche lei, ma in Norvegia. Perché la vita, nonostante tutto, va sempre avanti. Deve andare avanti, contro ogni evidenza. "I miei genitori mi hanno insegnato che, se studi, puoi cambiare la tua esistenza e quella degli altri - ha raccontato Ahmed - Con lo studio ho voluto dimostrare che nessuno può distruggere la volontà di un'altra persona. Nessuno." Congratulazioni, dottore. Buona vita, qualunque sarà la prossima. (Lorenzo Tosa)
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cartofolo · 7 years ago
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Non siamo tutti uguali
Non siamo tutti uguali. Per fortuna non lo siamo. Sono convinto che le differenze siano fondamentali e che le distinzioni qualificano un percorso (guai al qualunquismo). Così come capisco bene che, se esiste la diversità, questa ha una sua economia nel tutto ed è necessario che possa essere espressa con tutta la forza delle singole differenze e peculiarità. Però è anche vero che vi è una costante in ogni diversità. E' sottile, soffocata dalla presunzione, vincolata alle singole necessità, confusa dai bisogni, ma lega e unisce tutte le differenze verso un obiettivo unico. Gli uomini lo chiamano in mille modi o lo rifiutano negandolo, ma ognuno lo sente nella misura della sua apertura verso specifiche esperienze di cui ha bisogno. Mi riferisco a quel senso di appartenenza che per alcuni è Dio, per altri la società, per altri ancora la solitudine del proprio io elevata a deità.
Dunque le differenze esistono e segnano sempre dei limiti che spesso sono trasformati in virtù, specialmente per la società.
Se il percorso ci conduce verso l'unità (quel senso di appartenenza che tutti sentiamo importante), ritengo che anche questi limiti (differenze), debbano essere superati, anche se gradualmente e in funzione delle singole possibilità di maturazione. Non dico che "devono" in senso impositivo (infatti ho affermato la loro importanza), ma quando si parla di fratellanza, di amore per tutto e per tutti, non posso non immaginare una partecipazione-identificazione che annulli ogni differenza, che veda la trascendenza delle idee nella conquista del senso di appartenenza a un senso di unità che dà senso al tutto. In questo modo le virtù diventano mezzo, e il confine dell'essere diventa identità. "Io penso quindi sono" è il primo limite, superato il quale si diventa colui che è oltre il pensiero, e abbraccia il senso dell'essere oltre ogni peculiarità. Così la molteplicità acquista un senso e un valore, proprio in quella trascendenza che ne viene generata. Forse questo è inconcepibile per i valori che oggi ci contraddistinguono, ma sono convinto che sarà il destino individuale e comunitario a cui nessuno si potrà sottrarre proprio per quel disegno superiore a cui si fa riferimento nelle nostre speranze più nascoste.
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